A seguito della proposta di un nuovo Codice deontologico dei commercialisti, suscita perplessità che il testo reso disponibile sia solo una semplice revisione di quello che vi era in precedenza, perché io credo che introdurre dei correttivi lasciando la maggior parte dell'impianto immutato non sia sufficiente, anche alla luce della profonda evoluzione che hanno avuto la professione ed il contesto socio economico nel quale il professionista si trova ad operare. Rammento a me stessa, prima che agli altri, che il Codice deontologico ha come finalità quella di stabilire linee guida etiche e comportamentali da seguire nello svolgimento della propria attività. Il loro rispetto ha come obiettivo quella di contribuire a costruire fiducia tra i professionisti e il pubblico, aumentando la credibilità della professione nel suo complesso. Basandosi su principi etici appare evidente che i suoi contenuti risentano in modo significativo del contesto e delle “sensibilità” del momento ed è quindi fisiologico che periodicamente possano essere rilette per verificarne l'attualità. La versione in vigore è stata redatta nel 2015 e successivamente ha subito qualche modifica non significativa. E' ovvio che essa risenta di un'impostazione che al momento della stesura era logica ed attuale, poiché vi era su questi temi (ma direi un po' su tutto) un approccio quasi medievale basato su un'elencazione di doveri ed in un'ottica punitiva , ma oggi il linguaggio ed i vincoli imposti appaiono in più parti obsoleti e bene ha fatto il Consiglio Nazionale, quindi, a prevederne un aggiornamento. Ciò che non pare condivisibile è che ci si sia limitati a correggere il testo in qualche punto, inasprendo, fra l'altro, gli obblighi e le sanzioni in altri. A mio avviso, prima ancora di procedere alla stesura della proposta messa in pubblica consultazione, sarebbe stato più opportuno aprire un dibattito su tutti i contenuti del Codice, alla luce di un'analisi della loro coerenza in relazione all'attuale contesto nel quale il professionista opera, che competitors ha, quali obblighi ed adempimenti per norma deve già rispettare. Oltre a ciò, dalle indiscrezioni emerse, pare sia in elaborazione una riforma della nostra legge istitutiva e sarebbe, forse, quanto mai opportuno un rinvio della revisione del Codice deontologico in un momento successivo. Per tale motivo, come Presidente dell'Ordine di Milano, ho chiesto al Presidente del CNDCEC di prorogare il termine dando il tempo a noi che dialoghiamo sui territori con gli iscritti di confrontarci su quello che è un pilastro della professione. Nell'attesa dell'auspicato rinvio, suggerito anche da molti altri Ordini, colgo l'occasione per soffermarmi su alcune riflessioni. Da quando la versione attuale è stata approvata ad oggi, si è molto acuito il controllo normativo sull'attività del commercialista con disposizioni specifiche quali, solo a titolo di esempio, l'antiriciclaggio ed il GDPR. Ritengo, quindi, che molti vincoli che prima non vi erano, oggi siano già presenti in leggi e in tali ambiti diventa perfino superfluo effettuare dei richiami. Il Codice deontologico penso, quindi, debba essere molto semplificato con poche regole (ma chiare e precise) che aiutino tutti noi a seguire una comune linea di condotta in merito ai principi ( quali, ad esempio, integrità, competenza, responsabilità e rispetto) che, se seguiti, consentano di tutelare la credibilità della professione nel suo complesso. L'operato dei Consigli di disciplina, di conseguenza, dovrebbe essere rivolto alle effettive patologie di condotta nella relazione con i clienti, i collaboratori e gli altri stakeholders oltre che, ovviamente, nei casi di violazione delle norme. In questa ottica, ad esempio, i comportamenti personali non possono essere oggetto di valutazione se non nelle ipotesi in cui incidano nella credibilità professionale della persona e ledano l'immagine della categoria (come è attualmente)… il testo di revisione proposto, invece, non pone questo confine limitandosi a dire che “ Il comportamento del professionista, anche al di fuori dell'esercizio della professione, deve essere irreprensibile, rispettoso e consono al decoro, alla dignità e all'immagine del professionista e della professione”. Mi pare veramente eccessivo che gli Organismi di disciplina possano entrare a gamba tesa nella sfera privata di un professionista anche quando ciò non arrechi alcun danno all'immagine della professione. Così come mi paiono realmente fuori contesto alcune disposizioni che disciplinano i rapporti fra i colleghi (andando ben al di là di quelle che sono le limitazioni normative) o i forti vincoli imposti nella forme e nei metodi di comunicazione. Su questo ultimo punto ritengo che il richiamo al rispetto dei principi generali ed in particolare a quello di correttezza (che implica, ovviamente, già di per sé, una adeguatezza nel linguaggio e nei contenuti) sia più che sufficiente, abbandonando schemi proibitivi del passato che mal si adattano all'attuale contesto. E', infatti, importante consentire al collega di usare con tranquillità quegli strumenti di marketing che una volta non esistevano e che oggi permettono a molti competitors di ottenere risultati di visibilità eccellenti nelle aree che sono oggetto della nostra professione. Anche in questo caso sia la versione attuale che il testo in pubblica consultazione non dettano linee di condotta, ma impongono, di fatto, divieti che possono rendere in generale molto più indifeso il professionista nel mercato della consulenza. Veti sono imposti, anche nella proposta di revisione, sempre in tema di utilizzo dei “social,” sulla libertà di espressione che, a mio avviso, va tutelata, e non sanzionata, all'interno di un Codice deontologico. Il diritto di critica è la base di un sistema democratico ed eventuali divieti nel Codice deontologico debbono riferirsi solo alle situazioni nelle quali i colleghi sconfinino veramente in comunicazioni eccessive e creino un danno reale all'immagine della professione. Mi soffermo su questo aspetto solo perché nel testo proposto è fatto oggetto di possibili sanzioni non il comportamento che ha generato effetti negativi, ma le semplici “comunicazioni anche quando sono semplicemente “suggestive”….mi pare che siano vincoli che esulano dal contesto in cui sono inseriti. Al di là delle scelte del Consiglio Nazionale di rinviare o meno la data di scadenza della pubblica consultazione, ritengo che il dibattito su un tema così fondamentale non possa esaurirsi. In ogni caso è in fase di studio a Milano una proposta, che sarà integrata dai suggerimenti che verranno indicati dagli iscritti , nella quale la “vision strategica” non è sanzionatoria, come quella emersa nel testo proposto, (che ha un linguaggio ed un approccio quasi penalistico) ma positiva per dar vita ad un documento che sia recepito come un punto di riferimento importante, ausilio per i colleghi nell'esercizio della propria attività e costituisca una testimonianza verso gli stakeholders e la comunità in generale dei valori fondanti della nostra professione. Resta l'auspicio che il Consiglio Nazionale ci ascolti ed apra un dialogo su questi temi prima dell'approvazione definitiva, nel comune obiettivo di costruire un Codice deontologico nel quale il commercialista si senta rappresentato, ne vada orgoglioso e lo rispetti non per timore, ma condividendone i contenuti.
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