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Comunicati stampa - 07/10/2022

In questi giorni molto si discute su quanto sta avvenendo nel tessuto economico e sociale italiano scosso, dopo l’emergenza sanitaria, da un ulteriore “tsunami” a causa di fattori esogeni come l’incremento anomalo dei costi dell’energia e la scarsità di materie prime. In questo contesto è passata quasi inosservata, ad eccezione degli addetti ai lavori, una riforma epocale in tema di crisi d’impresa che, per com’è impostata, è destinata a generare non poche ripercussioni, soprattutto sulle realtà di piccole dimensioni.

Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza entrato in vigore il 15 luglio in attuazione della direttiva (Ue) 2019/1023, cambia in modo sostanziale la responsabilità dell’imprenditore e, se presente, dell’organo di controllo. Nella gestione dell’impresa, infatti, è imposta un’attenta e documentata analisi del rischio e la dimostrazione dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, contabile e finanziario all’attività che si esercita. La responsabilità, quindi, non è più esclusivamente sull’operatività aziendale, ma si estende a un’acquisizione di consapevolezza sui rischi che sono assunti in un’ottica di prevenzione della crisi.

In definitiva, al verificarsi di una situazione di difficoltà aziendale è necessario dimostrare di aver fatto il possibile per evitare la crisi stessa, magari ricorrendo a procedure previste ad hoc proprio nel Codice della Crisi. L’impostazione, per lo meno in linea teorica, appare assolutamente condivisibile, ma, a mio avviso, si scontra con l’assenza di un chiarimento sul grado di rischio che l’imprenditore possa assumere senza incorrere in responsabilità civili e penali.

La storia ci narra d’imperi costruiti dal nulla grazie all’intuito di figure quali Steve Jobs, che certamente ha molto rischiato per raggiungere determinati risultati: senza il rischio certo non vi è crescita. Il legislatore, invece, pare sia più propenso ad una valutazione quasi punitiva laddove non si dimostrato un calcolo (a volte difficile) del rischio assunto. Senza un chiarimento su questo tema diventa difficile comprendere come debba essere interpretato l’obbligo dell’imprenditore di avere un adeguato assetto come previsto dall’art.2086 c.c. (introdotto dal 2019 proprio dalla citata riforma).

Il timore è che si ravvisi quasi in automatico per le aziende in crisi una responsabilità dell’imprenditore, tranne nei casi estremi nei quali la crisi è generata da fattori palesemente esogeni. Credo, quindi, che su questo debba aprirsi un’attenta riflessione con indicazioni molto chiare e codificate. Suscitano, anche, perplessità le “misure di allerta” introdotte dal 15 luglio. La finalità con cui sono previste è sempre quella di intercettare la crisi d’impresa sul nascere, ma per un momento così difficile, come quello che stiamo vivendo, penso possano generare un effetto boomerang non prevedibile. La norma stabilisce, infatti obblighi di segnalazione a carico di soggetti privati, e su soggetti pubblici e istituzionali come, ad esempio, l’Agenzia delle Entrate e l’Inps, come pure su banche e intermediari finanziari, i quali devono attivarsi se rinvengono, nell’operatività delle imprese con cui entrato in contatto, indici di crisi e insolvenza.

Tutta questa disciplina andrebbe riesaminata, ma in questa sede ci si focalizza sugli obblighi in capo all’Agenzia delle Entrate. Per quest’ultima, il testo iniziale prevedeva l’obbligo di segnalare l’esistenza di un debito scaduto e non versato relativo all’Iva, risultante dalla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche del primo trimestre dell’anno, d’importo superiore a 5000 euro e, comunque, non inferiore al 10% dell’ammontare del volume d’affari risultante dalla dichiarazione concernente l’anno d’imposta precedente; oltre a questo, la segnalazione riguarda l’esistenza di crediti d’affidati per la riscossione, auto dichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre 90 giorni, superiori, per le imprese individuali, all’importo di 100 mila euro, e per le altre società, di 500 mila euro.

Con la legge n. 122/2022, di conversione del Decreto semplificazioni, anche a seguito delle preoccupazioni sollevate da più parti sono state, tra l’altro, apportate modifiche agli importi.

A oggi, quindi, la segnalazione dell’Agenzia delle Entrate deve essere fatta “in ogni caso” quando il debito Iva sia superiore a 20 000 euro, senza tuttavia eliminare il riferimento ai 5 000 euro già previsti. È facilmente intuibile come in questo momento di crisi sociale ed economica una simile previsione possa costituire un’ulteriore causa di destabilizzazione del sistema ed è quindi auspicabile una sua sospensione, perlomeno sino a un ritorno alla normalità.

In ogni caso il nuovo Codice della crisi costituisce un reale cambio di paradigma che deve essere conosciuto e interiorizzato da tutte le imprese e richiede un salto culturale non indifferente, ma certamente positivo. Le indagini mostrano come ancora molte imprese non usino strumenti quali il controllo di gestione, il budgeting e la pianificazione dei flussi finanziari. Tutto ciò non è più possibile, non solo sotto il profilo di un’ottimizzazione delle risorse aziendali, ma anche per legge, a pena di incorrere in gravose responsabilità.

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